Tutti i professionisti lo sanno bene, l’esposizione al rischio di riciclaggio è costante e sempre in agguato. Proprio per questo motivo, è importante adottare delle misure e procedure che permettano di gestire detto rischio. Il procedimento attraverso il quale il professionista è chiamato a verificare la validità dei presidi antiriciclaggio adottati prende il nome di autovalutazione del rischio.
Il CNDCEC, in qualità di organismo di autoregolamentazione, fornisce ai propri vigilati (i commercialisti) nelle Regole Tecniche i chiarimenti necessari per assolvere correttamente all’obbligo di autovalutazione del rischio.
Gli attuali artt. 15 e 16 del Decreto Antiriciclaggio (Decreto Legislativo 21 novembre 2007 n.231) – così come modificati dal D.lgs. 90/2017 con il quale, si rammenta, è stata data attuazione anche in Italia alla c.d. IV Direttiva Antiriciclaggio – dispongono a grandi linee che il soggetto obbligato effettua la valutazione del rischio di riciclaggio e/o finanziamento del terrorismo connesso alla propria attività professionale e adotta presidi e procedure adeguati alla propria natura e alla propria dimensione per gestire e mitigare i rischi rilevati.
A tal fine, auto-valuta il rischio inerente alla propria attività nonché la vulnerabilità (della propria organizzazione) per determinare il rischio residuo e adottare procedure per la gestione e la mitigazione del rischio medesimo.
Detta attività è comunemente individuata come “autovalutazione del rischio”.
Il CNDCEC, come già detto, illustra le diverse fasi che compongono l’autovalutazione del rischio di riciclaggio nelle Regole Tecniche. Identifica infatti il rischio inerente, le analisi circa la vulnerabilità ma anche la determinazione del rischio residuo.
Arrivare a calcolare il rischio residuo ed individuare le azioni da adottare per gestire e mitigare il rischio è di fondamentale importanza.
La procedura, più complessa da spiegarsi che da attuarsi, attraverso la quale i commercialisti devono procedere all’autovalutazione è stata oggetto della Regola Tecnica n. 1 del CNDCEC che ne ha illustrato il procedimento di determinazione attraverso il quale arrivare a determinare un “punteggio numerico” finale (c.d. rischio residuo) che permetta di capire il livello di compliance dello Studio Professionale in materia di organizzazione dei presidi antiriciclaggio e di conseguenza permetta di verificare la necessità di porre in essere azioni mitigatrici del rischio.
Con la procedura individuata dal CNDCEC si chiede ai professionisti, e nello specifico ai dottori commercialisti, di procedere a determinare, innanzitutto, la probabilità che un proprio cliente (all’insaputa del professionista) possa compiere un’attività di riciclaggio e/o finanziamento del terrorismo (c.d. rischio inerente); successivamente, determinare la capacità dei presidi antiriciclaggio adottati nel proprio Studio di intercettare eventuali attività di riciclaggio o finanziamento del terrorismo poste in essere dalla propria clientela (c.d. rischio di vulnerabilità). Il tutto finalizzato all’individuazione delle azioni da attuare per mitigare (ridurre) la possibilità che un cliente di studio possa concretamente compiere attività di riciclaggio o FDT senza che questa venga intercettata dal commercialista.
Secondo quanto indicato dallo stesso CNDCEC, dette azioni mitigatrici sarebbe necessario individuarle solo nel caso in cui il livello di rischio scaturente dal calcolo fosse abbastanza o molto significativo. In questo caso è necessario redigere un vero e proprio “piano di battaglia” e formalizzare le azioni da attuare (che dipendono dai punti in cui lo Studio è apparso vulnerabile), le tempistiche per attuarle, il responsabile del procedimento, i soggetti coinvolti nell’attuazione del piano nonché l’indicazione delle regole operative per attuarlo.
Con specifico riferimento alla determinazione del rischio inerente, i fattori che determinano il livello di rischio sono la (i) tipologia di clientela, (ii) l’area geografica di operatività, (iii) i canali distributivi e (iv) i servizi offerti. È evidente pertanto che, ad esempio, clienti persone fisiche alle quali viene erogata una prestazione a rischio non o poco significativa, incidano sul livello di rischio di riciclaggio inerente, spingendolo verso valori più bassi.
Di qui il dubbio, diffusosi fra i commercialisti, se le prestazioni professionali consistenti nella redazione delle dichiarazioni fiscali debbano essere considerate nell’autovalutazione del rischio di riciclaggio.
Nonostante la dottrina maggioritaria sia concorde nel ritenere che di dette prestazioni non si debba tener conto in sede di autovalutazione, chi scrive invece non la pensa allo stesso modo in quanto non vede valide motivazioni per non considerarle.
Anche in un’ottica di semplificazione degli adempimenti, non si ravvede il motivo per il quale nell’assolvimento di detto obbligo, si debba effettuare un distinguo tra prestazioni professionali di serie A e prestazioni di serie B. Si tratta, per l’appunto, pur sempre di prestazioni professionali.
A nulla vale sostenere che la mera redazione delle dichiarazioni fiscali sia una prestazione per la quale è normativamente escluso l’obbligo di adeguata verifica e che, quindi, mancherebbe una valutazione del rischio di riciclaggio formalizzata a cui far riferimento per l’autovalutazione. Infatti, non considerare dette prestazioni nell’autovalutazione del rischio di riciclaggio, porterebbe alla determinazione di un punteggio di rischio inerente, ad avviso di chi scrive, errato.
Per dimostrarlo basterebbe ipotizzare, per assurdo, uno Studio che presenta una clientela composta da: (a) 999 persone fisiche (pensionati e lavoratori dipendenti) alle quali si rende come prestazione la redazione e trasmissione delle dichiarazioni fiscali e (b) un solo cliente valutato, in sede di screening iniziale, a rischio molto significativo.
È palese che, in siffatta ipotetica situazione, escludere dall’autovalutazione del rischio di riciclaggio le 999 persone fisiche porterebbe con molta probabilità a rilevare un rischio inerente molto significativo. Quando, invece, è del tutto evidente che trattasi di una realtà professionale costituita da una clientela che presenta, una probabilità di compiere attività di riciclaggio/FDT, estremamente bassa.
L’autovalutazione del rischio di riciclaggio è un adempimento proprio del soggetto destinatario della normativa AR. In caso di Studio Associato, anche se le linee guida pubblicate a maggio 2019 dal CNDCEC evidenziano che l’obbligo può essere assolto con riferimento allo Studio, è parere di chi scrive che in detta situazione ogni singolo associato debba procedere con la propria autovalutazione.
La prima autovalutazione del rischio di riciclaggio avrebbe dovuto essere predisposta successivamente alla pubblicazione della analisi nazionale del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo predisposta dal Comitato di Sicurezza Finanziaria il 12 giugno 2019 anche se, come del resto chiarito dal CNDCEC nelle linee guida richiamate, è apparso corretto spostare l’adempimento al 01.01.2020 adeguandosi alle indicazioni fornite dalla Banca d’Italia ai propri vigilati.
Tanto premesso è considerato che l’obbligo di autovalutazione del rischio di riciclaggio va assolto con cadenza triennale, almeno per i professionisti più diligenti che hanno provveduto alla prima autovalutazione nel 2020. Infatti, l’anno 2023 sarà quello in cui procedere a rinnovare la valutazione.
Per redigere l’autovalutazione sarà, innanzitutto, necessario “fare mente locale” sulla tipologia di clientela assistita dal professionista nonché sulla “bontà” (corrispondenza al disposto normativo) dei presidi adottati a livello di organizzazione della funzione antiriciclaggio.
Sul lato pratico sarà possibile utilizzare i tools messi a disposizione dal CNDCEC e formalizzare i risultati con la redazione di un documento anch’esso predisposto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e pubblicato come allegato alle linee guida versione maggio 2019.
Tale documento andrà conservato adottando le stesse precauzioni e rispettando le stesse condizioni normativamente previste per la conservazione del fascicolo antiriciclaggio del cliente.
Si rammenta che, in caso di verifica o controllo antiriciclaggio, l’assenza del documento di autovalutazione del rischio non è sanzionabile in via diretta; nondimeno, la sua redazione rileva positivamente ai fini della determinazione quantitativa della sanzione ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett. g), del Decreto, in ragione dell’adozione di adeguate procedure di valutazione e di mitigazione del rischio da parte del soggetto obbligato (Cfr. pagina 9 delle Linee guida CNDCEC).
Nei PVC, oramai, è prassi evidenziare l’assenza del documento di autovalutazione del rischio di riciclaggio. Per questo motivo il consiglio è quello di procedere con l’autovalutazione del rischio di riciclaggio del proprio Studio in quanto, se è pur vero che una sanzione diretta non sarà possibile contestarla al professionista verificato, l’assenza dello stesso è sintomatico di una precaria organizzazione della funzione antiriciclaggio.
L’assenza del documento, quindi, potrà essere considerata dal MEF (in sede di emissione del decreto sanzionatorio) come uno dei fattori a cui ricollegare la contestazione della gravità degli eventuali inadempimenti e che potrebbe portare lo stesso Ministero a irrogare una sanzione superiore a quella base.
Dott. Giuseppe Mancini – Dottore Commercialista e Revisore Legale
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